La stagione dei cambiamenti

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Non ho mai posseduto un’auto, e nemmeno mi piacciono gli hamburger; le due cose, di per se, non sarebbero nemmeno legate o così strane, se non fossi figlio di un commerciante di auto e di una cameriera, anzi, di una “burger flipper” del South Boston. E forse proprio per quel motivo, per quello spirito di ribellione che ti prende ad una certa età, ho deciso che un’auto non mi sarebbe servita. Ho la licenza di guida, ho guidato moltissime auto, in posti diversissimi, dalla valle della morte, con due taniche di benzina di scorta nel portabagagli, al traffico di Denver al venerdì pomeriggio, tentando disperatamente di raggiungere l’aeroporto, ma anche in Europa, in Spagna, tra i vulcani della Garrotxa, o nella civilissima e solitaria Svezia, dove l’unico pericolo è, a quanto pare, scontrarsi con un alce. Ho guidato e provato diverse auto, ma non ho mai desiderato averne una. A New York, dove vivo, ho sempre usato i mezzi pubblici e i taxi, per muovermi; qualche escursione in bicicletta e a piedi, e, quando ne ho avuto veramente bisogno, ho noleggiato un furgone o un’auto a noleggio.

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New York, tra muffins e bugie

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Photo by Luca Bravo on Unsplash

Il tabellone indicava un desolante “DELAYED”
Mi spiace, signore, il volo AA 199 in partenza per New York subirà un ritardo per cause tecniche, non posso dirle di più
Ero in aeroporto dalla mattina presto, per prendere il volo che mi avrebbe riportato a casa; a differenza delle altre volte, non ero felice di tornare a New York, nella mia New York; certo, per lavoro sono stato in tantissimi posti diversi, alcuni anche molto belli, ma mai avevo desiderato di restarci veramente; la mia casa era la, sulla 72esima strada a Bay Ridge, a meno di due isolati dalla stazione della metropolitana, in una casa di mattoni rossi e la bandiera a stelle e strisce piantata sulla facciata, come si conviene ad ogni buon americano. Eppure, quella volta sentiva qualcosa che mi legava a Milano, a quel Bed and Breakfast un po’ rustico, alla magia della luna sui navigli.
Ma chi volevo prendere in giro! stavo pensando a lei, a Sheila; a quell’incontro che mi aveva cambiato la vita, per sempre. E poi, perchè tornare? Sheila era partita il giorno prima, per andare chissà dove, in Grecia, e chissà mai quando la avrei rivista. No, non avrei avuto nessun motivo per rimanere a Milano, nessuno.
Ancora nessuna indicazione del volo; unica consolazione, aspettare nella Lounge Sala Montale invece che incastrato in qualche scomodo seggiolino al gate.
In tasca della giacca avevo ancora quel biglietto, quel tovagliolino bianco piegato in quattro, con la mail di Sheila; nonostante la avessi già trascritta nei miei contatti in agenda continuavo a tenere in tasca quel biglietto, scritto sulla mia schiena e vezzosamente decorato con un bacio a stampo. Io lo conservavo come una reliquia, e, di tanto in tanto, avvicinavo la mano al cuore, istintivamente, a controllare che ci fosse ancora, e quasi avvertivo il calore che emanava.

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