L’incontro

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Photo by Cristina Gottardi on Unsplash

Ci sono persone che non hanno bisogno di incontrarsi, per conoscersi, ci sono incontri che non lasciano nessun segno, ci sono segni che annunciano un incontro; e poi ci sono incontri che cambiano la vita, e questo è quello che è successo ad Eric e Sheila.

Sheila era a Milano da qualche giorno, una delle tappe del suo viaggio in Italia che la aveva portata dapprima a Roma, la grande, poi a Firenze, la magnifica, e infine a Milano, una città non meno ricca di storia delle altre due, ma che offriva, ai suoi occhi, quel giusto miscuglio di storia e modernità che si addice ad una città europea; con la sua storia, i suoi monumenti, i grattacieli e i negozi scintillanti, gallerie d’arte e locali di ogni genere. In quella tappa, ospite da una zia, aveva trovato Carola, una cugina quasi coetanea, ma che non aveva mai visto, perché nata dopo il trasferimento in Italia di sua zia. Trovarsi dopo molto tempo con una persona di cui si, aveva visto qualche foto, ma praticamente non sapeva nulla, risvegliò in lei una curiosità quasi infantile, come fosse desiderosa di recuperare del tempo perduto. Nelle sue giornate milanesi trascorsero molto tempo insieme; Carola conosceva benissimo la città, e sapeva come muoversi con destrezza nel caos della metropoli e accompagnava volentieri Sheila in visita a quei monumenti che, spiegati con l’amore e la passione che ci metteva, prendevano una luce diversa da quella che aveva appreso dalle noiose gite scolastiche della sua adolescenza. Solo al calare del sole sceglievano di buttarsi nella mondanità dei locali piu trendy e alla moda che la città poteva loro offrire.
Sheila viveva quindi questa esperienza con una gioia e uno spirito diverso dalle tappe precedenti, in cui aveva assaporato, spesso in solitudine, tutta quella bellezza e arte che Roma e Firenze le avevano offerto. Qui viveva una doppia vita; di giorno in visita alla storia, e di notte nel cuore della città che non dorme mai.

Eric era in città per lavoro; era previsto un suo intervento ad una conferenza di settore; e un po’ per sfuggire alla noia, un po’ per staccarsi dai suoi colleghi, che lo avrebbero sicuramente trascinato in colossali bevute, aveva scelto di non alloggiare nell’albergo dove si teneva la conferenza, ma di spostarsi appena fuori dalla cerchia dei navigli, in un bed and breakfast, alla ricerca di quel tocco di famigliarità che lo faceva sentire più a casa. Finita la conferenza, si era subito fatto portare in taxi al suo alloggio, dove era rimasto a lungo sdraiato sul letto, con i piedi a terra, ad osservare la stanza, soffermandosi sul profumo di fresco delle lenzuola, sui tappetini spaiati, sul vaso di fiori posato sulla vecchia cassapanca, qualche piccola crepa sul muro; piccole imperfezioni che arricchivano l’atmosfera di casa e si staccavano nettamente dalla fredda perfezione delle camere d’albergo in cui troppo spesso si ritrovava.

Rimase li sdraiato per un po’, poi, con un gesto quasi automatico, si alzò e si diresse verso la doccia, abbellita da una graziosa tenda a quadretti bianchi e rossi, che contribuiva a creare parte di quell’atmosfera rustica e quasi campagnola che caratterizzava tutto l’alloggio. Si soffermò a lungo sotto il getto rovente, tanto che, al termine, trovò tutta la stanza invasa dal vapore che aveva generato; vetri e specchi erano completamente appannati, e il piccolo scarico al centro del bagno faticava a smaltire l’acqua che, nel frattempo era sfuggita alla tenda e aveva preso parte del bagno. Cercò di tamponare con qualche asciugamano passandolo anche sulla finestra della camera; fu allora che si rese conto che la luce del tramonto aveva lasciato spazio alla sera, e si soffermò un attimo a contemplare le scintillanti luci della città.
Ci pensò il suo stomaco, con un brontolio sordo, a risvegliarlo dal suo torpore. Era tardi, e non aveva ancora cenato; non che Milano non offrisse spunti o locali adatti, ma nel suo spirito Americano, pur sempre disordinato, era quasi impensabile cenare più tardi delle sette di sera. Si vestì in fretta, e uscì alla ricerca di un locale dove passare la serata.

Sheila e Carola erano pronte per uscire; era l’ultima sera a Milano per Sheila, sarebbe partita, l’indomani, in direzione di Atene, per continuare il suo erratico viaggio per il mondo, alla scoperta delle sue bellezze. Per l’occasione indossava un abito turchese, acquistato a Firenze, dei sandali con tacco, allacciati alla caviglia e un paio di orecchini ad anello, grandi e dorati, che esaltavano ancor di più i suoi fini lineamenti mediorientali. Carola aveva optato per un più pratico giubbottino in pelle, ed un paio di jeans, più adatti alla sua anima sportiva, ma che non nascondevano comunque un corpo tonico e scolpito dai lunghi allenamenti di nuoto; quel suo capello corto e biondo le dava ancora più slancio. Due look diversi per due ragazze diverse ma entrambe accumunate da un fiammante rossetto rosso: “rouge allure 104”, comprato in centro durante un pomeriggio di shopping. Rimasero ancora un attimo a rimirarsi nello specchio, ridendo come due ragazzine, per poi uscire in direzione del “coniglio bianco”, un locale sui navigli di cui Carola gli aveva tanto parlato.

Eric si era incamminato a piedi verso il centro; era ancora distante dalla zona pedonale, e procedeva sul marciapiede dell’alzaia, quando si trovò all’altezza di Viale Liguria. Lo stomaco vuoto e il suo pragmatismo lo portarono ad infilarsi nel primo locale dalla apparenza decente in zona; gli bastò ordinare un enorme pizza per placare il suo senso di fame. Solo dopo aver assaporato il suo “Expresso Italiano” decise di continuare la sua passeggiata.
La luna era alta nel cielo, e, mano a mano che si avvicinava al centro, diminuiva il rumore delle auto, sostituito dal lieto brusio dei passanti, e dalla musica che usciva dai locali.
Si dirigeva ipnotico verso quel mondo di luci e colori, come ammaliato dal canto delle sirene di Ulisse. Arrivato in Darsena, però, trovò un paesaggio abbastanza desolante; i numerosi cantieri avrebbero restituito in futuro maggiore bellezza alla città, ma non stasera. Riprese la via dell’alzaia, dall’altro lato, quando fu attratto da uno dei barconi attraccati sul naviglio. Dall’interno provenivano musica, risate, voci alte, luci.
Eric si fermò un attimo a fissare quello spettacolo, poco dopo era seduto all’interno del locale, immerso in quella atmosfera di festa, mentre una graziosa cameriera gli stava già porgendo un menù tra le mani.

La serata di Sheila e Carola era trascorsa tra chiacchiere e risate; certo, due belle ragazze sole non erano passate inosservate e qualcuno si era avvicinato, con la scusa di chiedere da accendere, ma era stato simpaticamente rimbalzato con il bellissimo e disarmante sorriso di Sheila o, per i più insistenti, con qualche frase in turco stretto, capace di spiazzare anche il più deciso e tenace dei pretendenti. La cena era stata perfetta, con piatti della tradizione milanese e altri, come l’agnello ai carciofi che ricordavano più le le sue latitudini, e, ancor di più, l’imminente viaggio che la aspettava.

Sei sicura di voler tornare da sola? se vuoi resto un po’ qui con te” – disse Carola
“Tranquilla, mi fumo l’ultima sigaretta, faccio due passi per godermi le ultime ore milanesi

Carola diede un bacio sulla guancia a Sheila, quasi commuovendosi; in fondo, per lei, quella cugina lontana era stata una felice riscoperta, e ora quasi gli dispiaceva che se ne andasse. Si salutarono con con un lunghissimo abbraccio, poi, la chioma bionda di Carola sparì dietro l’angolo di viale Gorizia. Sheila si incamminò lentamente a piedi verso la testa del ponte, con l’occhio, meccanicamente, cercò l’arco di Porta Ticinese e per un attimo si immaginò l’atmosfera di quel luogo ai tempi dei bastioni spagnoli. Dopo pochi passi si trovò all’imbocco del naviglio Pavese; la sigaretta stava per finire, ma non fu la luce della brace ad attirala, ma quella di un locale; un locale galleggiante, da cui arrivava una chiassosa atmosfera di festa. Attirata come una falena dalla sua luce, mise il mozzicone tra pollice e indice e lo fece volare, come una stella cometa, dritto dentro il naviglio.

Eric era ancora immerso nel menù, quando, alzando lo sguardo, la vide entrare: era bellissima, nel suo abito turchese, le labbra di fuoco, e quei dolci lineamenti mediorientali. Rimase fisso su di lei con lo sguardo per un tempo indefinito, come rapito; lei, ad un certo punto, se ne accorse, accennando un rossore e abbassando lo sguardo. A quel punto Eric si rese conto di essere in piedi con il menù in mano, e in una rapida mossa di vergogna si sedette rapidamente, cercando di far sprofondare la testa il più possibile tra le pagine.

Qui fanno il miglior BloodyMary di Milano“. Quella voce, in perfetto Inglese, arrivava ad Eric come se arrivasse da un altro pianeta; in quel momento, tutto il chiasso del locale era come ammutolito, le persone sparite, e davanti a lui c’era solo una persona, la bellissima ragazza che lo aveva letteralmente incantato pochi istanti prima.
Prima che lui riuscisse a spiccicare una sola parola, lei si era già accomodata, fiera e sorridente, come un punto fermo in quel barcone che di stabile non aveva nulla, nemmeno i precari tavolini in ferro e le seggioline pieghevoli con i sottili cuscini a punto materasso, poi fece un ampio cenno alla cameriera del locale, per richiamarla, e ordinò due BloodyMary.
Non mi sono presentata, piacere, Sheila
Eric” disse, con un filo di voce
Allora, Eric, che fai di bello, a Milano?
In quel momento, la mente di Eric era completamente offuscata; la bellezza di quella ragazza lo stordiva, non riusciva a distogliere lo sguardo dalle sue labbra, cercava disperatamente qualcosa di intelligente da dire, qualcosa che non sembrasse banale, qualcosa che… ci pensò la cameriera, con l’arrivo dei Cocktail, a toglierlo dall’imbarazzo.
Ecco i vostri BloodyMary“, e poi, con con quell’eccesso di zelo che spesso hanno i giovani camerieri “Avete ordinato la stessa cosa, che carini! siete una bella coppia.. buona serata!
A quella frase, Eric e Sheila si guardarono un attimo negli occhi e scoppiarono in una fragorosa risata. Eh, si, erano proprio una bella coppia…

La serata proseguì tra risate, sguardi, e le mille storie che si raccontavano; entrambi erano stati negli stessi luoghi, ma in tempi e per scopi diversi: Amsterdam, Parigi, Singapore, di ogni città o nazione Eric poteva raccontare il suo viaggio, spesso nelle zone centrali, degli affari, e Sheila invece il lato artistico e naturalistico. E’ veramente incredibile pensare quante facce diverse possa avere una città a seconda dello spirito con cui la si vive. Parlarono fino a tardi, fino a quando il proprietario in persona non venne da loro, per dire che stavano chiudendo. Sul loro tavolo i due Bloody Mary erano praticamente intatti, talmente erano stati rapiti dalle loro conversazioni.
Eric volle fare un gesto da cavaliere, e pagò il conto, nonostante le insistenze di Sheila, che voleva assolutamente pagare la sua parte.
Facciamo così, la prossima volta offri tu, ok?” -disse.
Usciti dal barcone si accostarono alla balaustra dell’alzaia; Sheila si accese una sigaretta, lui stava solo ad un paio di passi di distanza, e la osservava, mentre la luna illuminava il suo viso e il suo bianco sorriso risplendeva nel buio della sera. Ad ogni boccata, la sigaretta diventava un punto rovente che la illuminava brevemente, ed era letteralmente incantato dalla sua bellezza. Spense la cicca per terra con un deciso colpo di tacco, in quel momento, era veramente tardi, l’aria della sera si fece sentire ed Eric vide Sheila sussultare per un brivido di freddo. Istintivamente si avvicinò per abbracciarla allungando il braccio lungo la sua spalla. Lei si rese conto che quel gesto, che in altre occasioni l’avrebbe infastidita, l’aveva invece fatta sentire a suo agio.
Continuarono a passeggiare, così, abbracciati, seguendo lentamente il flusso dell’acqua del naviglio. La luna, piena, in cielo, illuminava i loro passi, confondendo e mischiando le ombre dei fiochi pali della luce; continuavano a parlare di Milano, di Roma, di caffè turco, la Grecia, e dei famosi Doughnuts di Grand Central. “Eric, li devi assolutamente provare! Non posso credere che tu, di New York, non li abbia mai assaggiati. Promettimi che ne andrai a mangiare uno per me“. Mentre parlava, aveva appoggiato la testa sul petto di lui,tanto da poterne sentire il cuore battere a mille, mentre lui con un paio di dita, sfiorava leggermente una ciocca dei suoi lunghissimi capelli, sfuggita alla morsa del fermaglio messo per raccoglierli. Ad un tratto, arrivati davanti alla Conchetta, Sheila si appoggiò alla balaustra, di schiena, le braccia retratte e le mani ben salde al freddo marmo. Lui le era di fronte, i loro visi erano a pochi centimetri di distanza, i corpi staccati, ma vicinissimi, tanto da poterne avvertire il calore e le vibrazioni che ne scaturivano.
Eric si fece un po’ di coraggio, davanti a tutta quella bellezza: la luna, l’acqua impetuosa della conchetta, e lei, lei, a proporgli il sorriso più forte, potente, disarmante, magnetico che avesse mai visto.
Tirò il fiato e disse: “E se ti rubassi un bacio?“. Passarono alcuni interminabili secondi, poi lei lo guardò, inclinando leggermente la testa, abbassò per un attimo lo sguardo e poi, rialzandolo, disse:”Baciami, Eric“.

Quella mattina, il Cin Cin bar era più affollato del solito, Eric la aveva riaccompagnata fin sotto casa, e si stavano gustando al bancone un ultimo “Expresso Italiano“, quando, dalla porta entrò Carola e si diresse verso Sheila.

Ti sei alzata presto, stamattina!
Sheila scoppiò a ridere insieme ad Eric, lasciando Carola interdetta.

Milano si stava risvegliando, Eric tentava di raccogliere le ultime tracce di caffè dalla tazzina, cercando di assaporare fino all’ultimo secondo questa città, e con lei il sapore di Sheila.